Newsletter In Cerchio - Settembre 2014 - Numero X - Anno XII
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Le parole del Giubileo: "e" come "elemosina"   versione testuale

In gioco c’è la nostra credibilità di cristiani. Durante questo Giubileo straordinario Papa Francesco ci invita a praticare le opere di misericordia spirituali e corporali che Gesù ci presenta nel Vangelo. Queste ultime, in particolare, rivelano tutta la loro attualità e validità. Tra le opere che aiutano ad aprirci alla misericordia di Dio “fare l'elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio” (Catechismo della Chiesa cattolica n.2447). L’elemosina, dunque, non è solo un gesto di carità, ma di giustizia.
 
Un’opera di giustizia
Tutti hanno il diritto ad avere il necessario per vivere. Alle persone che non possono lavorare perché malati, sofferenti, disoccupati, anziani, immigrati, non possiamo negare l’elemosina. Questo concetto, che oggi pare essere controcorrente, ci interpella direttamente come cristiani. L’elemosina è un’opera di misericordia, ispirata proprio dall’amore cristiano. E’ avere un cuore per i miseri, mani aperte e gambe in movimento per aiutare chi ha più bisogno. E’ avere un cuore capace di provare compassione, di mettersi nei panni dell’altro, di sentire con l’altro, di soffrire insieme all’altro, di condividerne le gioie e le speranze. L’elemosina, dunque, non è un gesto superficiale per scaricarsi la coscienza di fronte alle miserie del mondo. E’ un modo concreto per ristabilire la giustizia, superare le disparità sociali, ridistribuire le ricchezze. “Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro – scrive ancora il Catechismo della Chiesa cattolica - Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia” (n.2446)
 
Un’opera di carità
Fare l’elemosina, essere caritatevoli è un imperativo etico per noi cristiani: aiutare gli emarginati, gli esclusi, gli affamati, gli assetati, gli ignudi, i carcerati, i malati, i perseguitati, i profughi, i malati, i morenti. Dare l’elemosina è dunque un’opera di carità che rivela il nostro essere cristiani nella società. Aiutare i poveri che si rivolgono alle nostre comunità ecclesiali, alla Caritas, alle tante associazioni di volontariato presenti nella comunità locale è un segno dell’amore cristiano, della nostra fede e della nostra vita di credenti. E’ una diversa concezione dell’uomo non più individualista, ma solidale; non violento, ma disposto a battersi per l’altro; non egoista ma aperto all’altro; non autoreferenziale e richiuso in se stesso, ma che si dà da fare con l’altro e per l’altro. L’elemosina, dunque, non è un gesto superficiale per scaricarsi la coscienza di fronte alle miserie del mondo.
 
Ma quanti sono gli italiani disposti ad aiutare economicamente le persone più povere e bisognose? Purtroppo sono meno di quanto si possa immaginare, ma soprattutto diminuiscono con il tempo. Secondo una ricerca realizzata da GfK, solo il 19% della popolazione italiana adulta ha dichiarato di aver aiutato i più poveri e bisognosi con un’offerta in denaro. Nel 2002 e nel 2004 tale percentuali era pari il 32%, per poi scendere in modo costante negli anni successivi (vedi grafico).
 
Papa Francesco insiste nella necessità dell’inclusione sociale dei poveri e della evangelizzazione (Evangelii Gaudium, Capitolo IV, paragrafo 2). Per una Chiesa povera e per i poveri, che dia testimonianza dell’amore e della misericordia del Signore e vada in uscita nelle periferie del mondo.
 
 Paolo Cortellessa
 
 
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