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Spendersi è il loro linguaggio   versione testuale

Interviste ai sacerdoti della diocesi di Foligno


Per far conoscere meglio alla comunità diocesana i propri sacerdoti la Gazzetta di Foligno ha pubblicato lo scorso anno un libro intervista sulla complessità di essere prete. “Non si tratta di una vetrina in cui i sacerdoti vengono presentati, ma di testimonianze reali in cui ciascuno di loro racconta la propria visione del mondo, il senso della vocazione a cui ha risposto, l’impegno e la gioia di rimanere fedele a quella chiamata". In allegato la prefazione del direttore responsabile della Gazzetta, Enrico Presilla (a sinistra nella foto insieme al vescovo mons. Gualtiero Sigismondi) e la nota introduttiva.

Tra i temi affrontati anche quello relativo al rapporto preti-denaro. Ecco alcune risposte.

“Il prete, come tutti, ha bisogno di tutto ciò che serve per vivere: mangiare, vestirsi… Ciò che è importante è lo spirito di sobrietà che deve contraddistinguere il prete, non è giusto che vada vestito ‘firmato’, ma nemmeno da straccione. Nello spendere i soldi non bisogna dare scandalo; ci si deve servire delle cose che sono utili senza cadere negli eccessi. I soldi del prete vengono utilizzati per la carità: verso se stessi per sostenersi e così poter offrire il servizio alla comunità, e verso coloro che sono nell’indigenza”.
(Don Diego Casini)
 
“Personalmente i soldi li metto a servizio della comunità e dei giovani con problemi di devianza, quindi non ne ho. Non ho mai voluto tenere cose per me, perché chi ha bisogno di me è padrone anche delle mie possibilità. I sacerdoti che fanno dei soldi un punto di riferimento, lo fanno per paura della solitudine o della vecchiaia”.
(Don Franco Valeriani)
 
“Cosa fa un prete con i soldi? Forse la domanda andava completata chiedendo ‘quanto prende un prete’, o ‘quanto riesce a racimolare’; dopo di che si possono fare varie
ipotesi. Se trattasi di un sacerdote che vive in piccoli agglomerati di montagna o di campagna, quanto prende è appena sufficiente per venire incontro alle necessità proprie e di quanti bussano alla sua porta, veri poveri che non possono essere aiutati con degli spiccioli. Diverso il caso di chi vive in grandi parrocchie, ben organizzate; per costoro è possibile fare pure degli onesti risparmi. Quanto, appunto, ebbe a suggerirmi Sua Eccellenza Monsignor Siro Silvestri, venuto in visita pastorale a Colfiorito. All’epoca la mia risposta fu disarmante poiché, frequentando ancora l’Università di Perugia, non potevo pensare a mettere da parte un po’ di denaro, anzi avevo dei debiti che dovevo prima o poi onorare. Personalmente ho conosciuto molti preti che, per lo zelo della Casa del Signore, hanno sempre vissuto poveramente. Per chi, ad altro titolo, è riuscito ad avere un mensile migliore di quello che offre l’Istituto sostentamento clero, ci sono varie possibilità di impiegare il denaro: dallo studio alle vacanze di studio; dalla carità spicciola a quella intelligente. Qualche prete, che ha avuto più degli altri, non è vissuto nel lusso, né ha sprecato e neppure ha disperso in mille rigagnoli quanto era di più, ma lo ha capitalizzato in vista di un nobile intento; lo ha fatto con tutta semplicità e umiltà senza dar fiato alle trombe. Valga l’esempio di chi lascia tutto per una borsa di studio a favore di un seminarista. Diverso il caso di chi ha accumulato per arricchire i parenti: storie tristi che destano solo compassione”.
(Mons. Mario Sensi)
 
“A meno che non abbia grosse eredità, o vincite milionarie, con quello che un sacerdote riceve dal sistema del sostentamento del clero, quota fissata in base all’anzianità, ai servizi svolti ecc., un prete vive dignitosamente, ma non ha modo di accumulare ricchezze. Per fortuna. Anche nelle offerte per le messe siamo vincolati ad una cifra ben precisa, dieci euro. Il resto delle offerte vanno sempre alla parrocchia o alla carità verso i poveri. Mi sembra importante che i sacerdoti possano essere SEGNO DELLA POVERTÀ. Il che non vuol dire sciatteria, trascuratezza, piuttosto dignità e sobrietà. Se penso a come ho speso i miei soldi, mi vengono in mente tanti strumenti e sussidi per l’azione pastorale: i libri, gli abbonamenti, le partiture musicali, gli audiovisivi (comprese le centinaia di dischi e di cassette musicali ormai pressoché inutilizzabili), le attrezzature e il tendone da campeggio comprato insieme a don Luigi…
Se i sacerdoti sono segno della povertà, la Chiesa, come istituzione, ha invece grandi disponibilità…
La Chiesa amministra certamente molti beni, ma li amministra per ‘il bene’, per diffondere il Vangelo, per l’esercizio della carità... Inoltre i beni della Chiesa (diocesi, parrocchie, confraternite, opere caritative, scuole, ospedali, mezzi di comunicazione…), quando non sono a servizio del culto, sono a servizio della gente. Non nascondo tuttavia che le critiche che sono mosse nei suoi confronti, se spesso sono eredità di un certo passato o di contrapposizioni ideologiche, qualche altra volta nascono invece da autentico amore per la Chiesa e per la sua missione nel mondo, che deve essere soprattutto a fianco dei poveri e degli ultimi”.
(Mons. Giovanni Nizzi)
 
 
 
 
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