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"Sovvenire": semplice gesto economico o anche "grazia" e "atto liturgico"?   versione testuale

E’ certamente giusto che le molteplici iniziative riguardanti il sostegno economico alla Chiesa cattolica continuino a fare appello alla generosità dei singoli battezzati soprattutto, e al fatto che essi, come membri di una comunità ecclesiale, dovrebbero gioire nel sentirsi partecipi della sua concreta vita quotidiana. Questi richiami infatti, fondati sull’ecclesiologia del Concilio e in particolare sulla spiritualità ecclesiale/diocesana, presentano forti ragioni per archiviare la diffusa prassi di tanti battezzati che si limitano ad essere semplici spettatori e fruitori di servizi religiosi.
 
Tali riferimenti conciliari, tuttavia, potrebbero essere integrati e arricchiti da altri di natura biblica dato che i gesti di solidarietà tra le Chiese dei primi anni sono presentati nella Bibbia come espressione di autentica fede cristiana. Si può anzi dire che la condivisione dei beni materiali fra coloro che professavano la stessa fede appare uno dei fenomeni più originali del cristianesimo delle origini e tale da poter essere considerato esemplare e normativo per i cristiani di ogni tempo.
Ecco allora che, tenendo conto di alcune riflessioni di d. Antonio Pitta, ordinario di Nuovo Testamento alla Lateranense, vorrei soffermarmi su due brani tratti dalle lettere paoline.
 
Il "sovvenire" è una grazia
 
Nella Seconda ai Corinzi di Paolo troviamo un invito da lui rivolto ai destinatari a partecipare alla grande colletta da lui iniziata in Macedonia a favore della Chiesa di Gerusalemme che, in quel momento (siamo intorno all’anno 57) si trovava in precarie condizioni materiali. “Vogliamo farvi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiesa della Macedonia. (…) Possiamo testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro messi, spontaneamente, domandandoci con insistenza la grazia di pendere parte a questo servizio a favore dei santi” (8, 1.3).
Colpisce, in questo brano, la parola “grazia”, ripetuta due volte. Paolo afferma che la colletta dei macèdoni è una grazia (charis, nel testo greco, da cui l’italiano “carezza”), cioè un dono che ha due soggetti e due destinatari.
Il primo soggetto è Dio stesso e i destinatari sono i cristiani della Macedonia ai quali aveva dato la possibilità dare un aiuto ai fratelli poveri di Gerusalemme. Aiutare chi è nel bisogno è un dono spirituale che si fa anzitutto a se stessi. Ce lo ricorda il grande Agostino quando scrive: “Aiuta il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere”. E lo ricorda anche il folgorante motto di una notissima preghiera ispirata a s. Francesco d’Assisi: “è dando, che si riceve”.
Sì, la generosità verso gli altri è una carezza che primariamente illumina il volto di chi la dà.
L’altro soggetto della grazia, nella lettera paolina, sono gli stessi macèdoni la cui generosità fu un provvidenziale sostegno per la Chiesa di Gerusalemme. Donando il poco che avevano, lo accrebbero. Perché quando un dono è ri-donato per divenire perdono – dono per qualcuno - , accresce di molto il suo valore spirituale. Sì, vivere è aiutare a vivere, come qualcuno ha detto.
  
 
Il "sovvenire" è un servizio liturgico
 
“Vado a Gerusalemme - scriveva Paolo nella Lettera ai Romani (anno 58) - a rendere un servizio a quella comunità; la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme. L’hanno voluta perché sono ad essi debitori: essi infatti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere loro un servizio sacro anche nelle loro necessità materiali” (15, 26-27).

Da rilevare che questo movimento di carità non è chiamato con l’usuale termine tecnico di “colletta” (logheia, in greco), ma con un termine di assoluto valore teologico: leituorgia. E sappiamo che la liturgia, vertice della vita cristiana, realizza ed esprime un singolare rapporto non solo con Dio, ma anche con la Chiesa intera. La parola liturgia racchiude infatti una linea verticale (l’amore a Dio) e una orizzontale (l’amore verso il prossimo).

La prima linea, propria dell’Antico Testamento, si realizzava nel culto che i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme rendevano a Dio a nome di tutto il popolo. E’ la dimensione sacra della liturgia
. La seconda linea, di natura profana, indicava nell’antica Grecia le opere sociali che alcuni cittadini (detti liturghi) compivano a favore del popolo: una strada, un ponte, un’opera pubblica ecc.
In questa lettera, con la parola liturgia, Paolo unisce le due prospettive perché il concreto gesto di condivisione economica dei cristiani della Macedonia e dell’Acaia è, insieme, una raccolta di danaro e un atto liturgico. E’ un servizio di solidarietà per i poveri e di amore verso Dio, che in essi si identifica, com’egli stesso ci rivela: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).
 
Il "sovvenire" è dunque…
 
Il servizio svolto nell’ambito del sovvenire è di sicuro una nobile testimonianza di carità cristiana, di partecipazione alla vita ecclesiale, di maturità umana e spirituale. Ma è anche, come insegna San Paolo, una carezza ricevuta da Dio e restituita ai fratelli, un’azione liturgica che rende visibile il senso profondo della stessa liturgia e avvera la continuità tra la celebrazione dei misteri cristiani e la vita quotidiana.

Alla luce di queste prospettive, il lavoro svolto nel "sovvenire" appare pertanto non solo un prezioso sostegno economico alla Chiesa ma anche e soprattutto, per chi lo compie, una fonte di autentica spiritualità.
 
 
Don Vittorio Peri
(già presidente dell'Unione Apostolica del Clero)
 
 
 
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